103x140 Pittore messinese Sec. XVII (terzo quarto)
Mammola (Reggio Calabria), Chiesa Matrice Provenienza: Mammola, Abbazia di S. Nicodemo
Mammola (Reggio Calabria), Chiesa Matrice Provenienza: Mammola, Abbazia di S. Nicodemo
Il dipinto, con molta probabilità, pervenne alla chiesa Matrice di Mammola da quella del monastero ‘basiliano’ di S. Nicodemo nel 1809, a seguito delle soppressioni ottocentesche degli ordini religiosi.
La fondazione, di antica e veneranda memoria, dopo una lunga e travagliata storia, fu ricostruita, nella seconda metà del Cinquecento a opera dell’abate commendatario card. Antonio Carata, per continuare a custodire le accreditate reliquie di S. Nicodemo, monaco italo- greco vissuto nel sec. X che ne fu appunto igumeno (Briguglio 1989, 62-63; cfr. Arco Magri 1969, 27 ss.).
La tela in questione dovette essere stata commissionata ed esposta sull’altare della cappella del Santo eretta nella seconda metà del sec. XVII da p. Apollinare Agresta una delle figure più fulgide del basilianesimo del Seicento negli anni in cui fu superiore dello stesso monastero, e che fece ulteriormente dotare dalla sorella Vittoria (Petta 1981, 9 ss.).
La pittura raffigura, su di uno sfondo di cielo dai riflessi quasi serotini, S. Nicodemo; effigiato con sembianze venerande, e vestito di tonaca nera, caratterizzata dalla cocolla e da ampie maniche. Egli ha la mano destra levata nell’atto di benedire, mentre con la sinistra impugna il bacolo che ha la terminazione composta da un alto nodo, adorno di statuine, e da un grande riccio lavorato a voluta vegetale con corposi fogliami. Purtroppo la tela, rispetto alla segnalazione nel volume dedicato alla Calabria dt\V Inventario degli oggetti d’arte d'Italia, pubblicato nel 1933 a cura di Alfonso Frangipane (In¬ventario 1933, 291), e come il recente restauro ha dimostrato, manca di tutta la sua parte inferiore, perché tagliata sul limite delle maniche della tonaca.
La pittura raffigura, su di uno sfondo di cielo dai riflessi quasi serotini, S. Nicodemo; effigiato con sembianze venerande, e vestito di tonaca nera, caratterizzata dalla cocolla e da ampie maniche. Egli ha la mano destra levata nell’atto di benedire, mentre con la sinistra impugna il bacolo che ha la terminazione composta da un alto nodo, adorno di statuine, e da un grande riccio lavorato a voluta vegetale con corposi fogliami. Purtroppo la tela, rispetto alla segnalazione nel volume dedicato alla Calabria dt\V Inventario degli oggetti d’arte d'Italia, pubblicato nel 1933 a cura di Alfonso Frangipane (In¬ventario 1933, 291), e come il recente restauro ha dimostrato, manca di tutta la sua parte inferiore, perché tagliata sul limite delle maniche della tonaca.
Sembrerebbe però possibile ricostruire l’immagine integrale attraverso un'incisione apposta alla Vita di S. Nicodemo, pubblicata proprio da A. Agresta a Roma nel 1677 (Àgresta 1677, retro del frontespizio) che, per molti particolari riccio del bacolo, barba del Santo, ecc. si può pensare dipenda proprio da questo dipinto, peraltro ripetuto in altre stampe devozionali e pitture successive.
Non solo, ma per la presenza dello stemma agalmonico degli Agresta sul margine inferiore sinistro della stampa seicentesca, probabilmente tratto dall’anonimo incisore durante la ‘copia’ del dipinto suo ‘luogo' più usuale, si potrebbe indicare proprio in Apollinare lo stesso committente dell'opera. Se ne può dedurre, inoltre, che egli l’avrebbe fatta eseguire in date comprese tra il 1653 e il 1677, in sintomatica concomitanza con l’erezione della cappella nella detta chiesa monasteriale di Mammola, poiché la presenza, sulla stessa arma, del cappello cardinalizio richiamerebbe la sua dignità abbaziale acquisita proprio in quel frangente.
In linea con quanto era venuto stabilizzandosi, durante l’età tridentina, in merito al processo di occidentalizzazione para-benedettina del monachesimo italo-greco assoggettato alla Chiesa Cattolica (Peri 1977, 411 ss.), San Nicodemo, nella stampa e forse nelle dimensioni originarie del dipinto in esame, è rappresentato come un abate benedettino anzi ricalca molte immagini dello stesso S. Benedetto identificato da attributi simbolici che si riallacciano al suo nome e a storie della sua vita: mitra esorcizzante. serpente, cinghiale. Inoltre, egli è dipinto nell’atto di benedire Mammola,
che lo aveva dichiarato suo patrono nel 1638 (Gallucci 1989, 195).
La tela, nella citata segnalazione dell’inventario del 1933 è assegnata giustamente al sec. XVII, con un’attribuzione probabile a pittore siciliano. Indicazione ragionevole, che si potrebbe meglio specificare proprio in ambito messinese, richiamando inoltre quei nessi di cultura classicista che coinvolgono l'opera di Agostino Scilla (1629-1700) dal suo ritorno da Roma, avvenuto nel 1651, al suo esilio in Francia a seguito della rivoluzione antispagnola della città di Messina (Pugliatti 1984, 75 ss.; Giacobbe 1989, 884-885). Un arco di anni il terzo quarto del secolo che fra l’altro sembrerebbe favorevole alla datazione e commissione del dipinto calabrese, e ciò anche in considerazione di quanto detto prima in merito alla probabile committenza dell’Agresta.
A ben guardare, comunque, quel che resta della tela di S. Nicodemo mostra molte affinità col S. Benedetto della pala dipinta da A. Scilla per la chiesa di S. Paolo a Messina e oggi custodito nel Museo Regionale della stessa città (Campagna Cicala 1984, 44-45); anzi, volendo insistere su questa linea classicista del pittore messinese, si potrebbero trovare attraverso questi, altri punti di aggancio con i santi camaldolesi dipinti dal suo maestro romano, Andrea Sacchi. nella celebre Visione di S. Romualdo oggi nella Pinacoteca Vaticana e che, datata al 1631, è stata considerata un’opera fondamentale per lo Scilla nel momento dell’elaborazione della tela messinese (Pugliatti 1984, 76).
In linea con quanto era venuto stabilizzandosi, durante l’età tridentina, in merito al processo di occidentalizzazione para-benedettina del monachesimo italo-greco assoggettato alla Chiesa Cattolica (Peri 1977, 411 ss.), San Nicodemo, nella stampa e forse nelle dimensioni originarie del dipinto in esame, è rappresentato come un abate benedettino anzi ricalca molte immagini dello stesso S. Benedetto identificato da attributi simbolici che si riallacciano al suo nome e a storie della sua vita: mitra esorcizzante. serpente, cinghiale. Inoltre, egli è dipinto nell’atto di benedire Mammola,
che lo aveva dichiarato suo patrono nel 1638 (Gallucci 1989, 195).
La tela, nella citata segnalazione dell’inventario del 1933 è assegnata giustamente al sec. XVII, con un’attribuzione probabile a pittore siciliano. Indicazione ragionevole, che si potrebbe meglio specificare proprio in ambito messinese, richiamando inoltre quei nessi di cultura classicista che coinvolgono l'opera di Agostino Scilla (1629-1700) dal suo ritorno da Roma, avvenuto nel 1651, al suo esilio in Francia a seguito della rivoluzione antispagnola della città di Messina (Pugliatti 1984, 75 ss.; Giacobbe 1989, 884-885). Un arco di anni il terzo quarto del secolo che fra l’altro sembrerebbe favorevole alla datazione e commissione del dipinto calabrese, e ciò anche in considerazione di quanto detto prima in merito alla probabile committenza dell’Agresta.
A ben guardare, comunque, quel che resta della tela di S. Nicodemo mostra molte affinità col S. Benedetto della pala dipinta da A. Scilla per la chiesa di S. Paolo a Messina e oggi custodito nel Museo Regionale della stessa città (Campagna Cicala 1984, 44-45); anzi, volendo insistere su questa linea classicista del pittore messinese, si potrebbero trovare attraverso questi, altri punti di aggancio con i santi camaldolesi dipinti dal suo maestro romano, Andrea Sacchi. nella celebre Visione di S. Romualdo oggi nella Pinacoteca Vaticana e che, datata al 1631, è stata considerata un’opera fondamentale per lo Scilla nel momento dell’elaborazione della tela messinese (Pugliatti 1984, 76).
Ritornando all’opera calabrese, si potrebbe ancora indicare, al momento e per future indagini, la somiglianza, che ulteriormente la lega al dipinto di Messina, del ricciolo del bacolo, il quale sembra illustrare, in tutt'e due i casi come in altri dipinti della Sicilia orientale databili allo stesso svolgere di anni, le belle e pressocchè coeve realizzazioni dell'argenteria messinese.
Bibliografia-. Inventario 1933, 291; B arii laro 1972, 303; Fittali 1989. 20
Restauri: 1998, Laboratorio di Restauro della Soprintendenza per i Beni AA. A A. AA. SS. della Calabria, Cosenza (Alba Nudo. Anna Maria Lanzino, Beimira De Rango, Domenico Visciglia, Ines Altomare)
Restauri: 1998, Laboratorio di Restauro della Soprintendenza per i Beni AA. A A. AA. SS. della Calabria, Cosenza (Alba Nudo. Anna Maria Lanzino, Beimira De Rango, Domenico Visciglia, Ines Altomare)
TRATTO DAL LIBRO "ITINERARI TURISTICO RELIGIOSI IN CALABRIA"
CASA PRODUTTRICE "RUBBETTINO"
UN RINGRAZIAMENTO PARTICOLARE AL DOTTORE AGOSTINO GIUSEPPE PER AVERCI SEGNALATO LA NOTIZIA.
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